(articolo n. 100 di questa bacheca letteraria)
Una vasta rassegna del fare poesia oggi nell’Italia letteraria che orbita fuori dai circuiti ufficiali. Potrebbe essere questo l’intento che ha mosso l’editore napoletano Kairos, e soprattutto il curatore Antonio Spagnuolo (operatore di lunghissimo corso nel campo delle antologie poetiche), decidendo di pubblicare il massiccio volume dei Frammenti imprevisti (Antologia della poesia italiana contemporanea). In poco più di 500 pagine sono raccolte brevi sillogi inedite di una cinquantina di autori, rappresentativi dell’Italia intera. Anche questa è una interessante novità: superare lo steccato regionalistico, aprendosi alle esperienze più lontane e significative. Così, accanto ai napoletani Piscopo, Piemontese, Urraro, Vetromile, Vitiello (e molti altri, ovviamente), ci sono i toscani (Manescalchi, Ugolini…) e i pugliesi, i piemontesi…
Un’antologia che si rispetti, oltre a raccogliere – come in questo caso – la freschezza del nuovo, deve proporre omogeneità nella diversità. Qui sono presenti i lavori in corso di autori molto diversi fra di loro, per ispirazione e stile, “i percorsi (come scrive Spagnuolo nella presentazione) di un policromo viaggio attraverso le varie esperienze di scrittura e di cultura”. La profondità del linguaggio poetico è la chiave che accomuna i cinquanta autori raccolti in questi “Frammenti imprevisti“: tra “significazione metafisica” e “costante ricerca”, in definitiva un gioco fatto di regole chiare, nel quale il lettore ha una sua parte non piccola, attento come gli si chiede a non tradire quelle regole pur facendo suo il gioco.
Non ce n’è mai abbastanza, di poesia, malgrado sia così tanto diffusa – se aiuta a riconoscersi in un verso, in un testo, in un cammino ideale che diventa nostro… È tale, dovrebbe essere tale il senso e lo scopo del fare poesia oggi, nell’età dell’immagine, quando però le immagini vengono imposte senza la possibilità di farle nostre: attraverso le parole della poesia riceviamo stimoli a farne di nostre e conservarle per averle riconosciute proprio in quelle parole, per aver saputo decodificare un messaggio che ci appartiene, in comunione di umanità.