Ambra cattiva

Lingue catttive di Ambra Simeone

primo libro di una collana dell’Editore Perrone curata da Sandra Cervone

È illuminante, oltre che affettuosamente maieutica, la premessa di Sandra Cervone a queste Lingue cattive: “la scelta meticolosa degli interrogativi da cui lasciarsi stimolare e interpellare, sono propri della poetica di Ambra Simeone che, con innegabile abilità ed una punta di sorprendente disincanto”… Certo, è una sorpresa che alla sua tenera età (ma è alla quarta pubblicazione: due quaderni di versi da “liceale” stampati in proprio, poi l’esordio nella collana “la stanza del poeta” con StraneStrade due anni fa), a nemmeno trent’anni sorprende un po’ che Ambra manifesti già tanta scaltrezza artistica, “abilità” – che potrebbe essere un dono di natura – e “disincanto” – cui si arriva dopo un “incanto” e quindi è segno di maturità, anche umana.
Si parlò di “grado zero della poesia” a proposito dei Crepuscolari: qui c’è un crepuscolo aggiornato, cattivo più che amaro, ma l’aria è quella: “Ci siamo mangiati la voglia di crescere”… “Siamo in pensione a vita”… “Non chiedeteci altro / siamo rimasti nella pancia della parola”. In fin dei conti è il crepuscolo al quale ammise di risalire lo stesso Montale, che poi si disse ermetico… E infatti quel “non chiedeteci” è proprio un’espressione sua. Usarla ancora può sapere di artificiosa umiltà ma pure di sberleffo giocoso; potrebbe insieme significare: non ne possiamo più di non sapere, anzi, siamo contenti di non sapere altro che quel che ci fa comodo sapere (e “nella pancia della parola” si sta un po’ come nella pancia del cavallo di Troia, pronti a saltare addosso al malcapitato lettore). “Sanguinanti noia” pare infine un eccesso anti narcisistico, come a voler apparire – tipico di certo crepuscolarismo gotico minore – peggiori di quel che si è. Potrebbe essere un vezzo pericoloso, diventare perfino un vizio nel quale ci si compiace.
Studiosa di italianistica, laureata con una tesi su un poeta vivente, Ambra conosce l’arte della retorica letteraria, sa quando usare – o le viene ormai spontaneo usare – una figura di significato o una struttura significante che le serva non a dimostrare che la conosce, ma appunto per dare alle parole, al verso, al testo un carattere personale. Una delle figure ricorrenti, manco a dirlo, essendo da qualche anno avviata su “strade strane”, e “sapendo rinchiudere in versi contraddizioni di cuori”, è l’ossimoro. Così troviamo “macchine del futuro passate di moda”; così, ma solo per fare qualche esempio, ci si trova “Scampati dal branco degli amici” (qui però c’è anche Leopardi col suo “assedio del borgo”)… L’ossimoro caratterizza la poesia inquieta, ricca di domande più o meno espresse, quegli “interrogativi da cui lasciarsi stimolare” dei quali Sandra Cervone dice in prefazione.
D’altra parte, Ambra è una che confessa (con sincerità “perfino sconcertante”): “Non so come mi sento / e così non so che scrivo”… Siamo ancora su un versante che gioca con se stesso, non si può essere convinti che il poeta sia davvero “un animale malinconico” (anche se, subito dopo, c’è la “finta malinconia di poeta”): qui sorride ambiguo Palazzeschi; ma perché allora insistere a fare il poeta? È vero: “La Poesia sorprende finanche chi intende donarle il proprio sentire” (scrive ancora Sandra Cervone), allora perché avere sempre paura di qualcuno che “calpesta la mia anima”? Al poeta non deve importare poi molto che l’anima gli venga calpestata, purché il sacrificio comporti acquisto di nuove anime sodali. Un incauto lettore a volte non coglie agevolmente i sensi che gli vengono trasmessi e finisce per muoversi come il classico elefante nel salotto: ci vuole pazienza.
Come si legge questo libro? È un libro che si legge da sé, tante essendo le chiavi proposte, le varie dichiarazioni di poetica più o meno esplicite; come il paradigmatico testo di apertura, e diversi altri nei quali si potrebbe tirar fuori una ministoria del farsi poeta che è la storia della piccola Ambra che cresce, e cresce poiché ne ha voglia, e ne ha voglia poiché ha capito che non è una voglia facile da appagare e le cose semplici le danno un po’ noia (perciò il grigio ritorna più volte, nel cielo e sulla pagina, a segnare l’impotenza di “seminare” parole, la momentanea afasia che opprime: “ho perduto le sillabe perfette”, “ho scordato l’abc della poesia”). La strada però è segnata e porta lontano (speriamo che non le sembri più tanto strana!): Ambra si espone in tutta coscienza, generosa di sé.

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